Dedico questa mia tesi a una Ciurma,
che vive su un Vascello,
guidata da un Capitano.
Naviga su un Mare calmo,
con il Vento che soffia,
a volte getta l’Ancora
e il Mozzo suona e canta.
Il Cielo Stellato da sfondo,
mentre il Pirata che tra
un suo viaggio e l’altro,
torna per poi restare.
Dall’Albero Maestro il Capitano
grida: “Intrecciastorie! Si salpa!”
E inizia la storia…
I QUATTRO LIVELLI DEL PLAYBACK THEATRE E IL RAPPORTO DELL’UOMO CON L’ECOSISTEMA
Premessa
“Non sei mai finito
fino a quando avrai una bella storia
e qualcuno cui raccontarla”
(Alessandro Baricco -Novecento)
L’ultima caccia di Joe R. Lansdale è un romanzo breve, il cui protagonista e narratore – Richard Harold Dale – nel 1933 è un bambino, che vive con i genitori e il fratello in una fattoria del Texas. E’ significativo il momento in cui“Richard e suo padre stanno lavorando il terreno con un aratro attaccato a un mulo di nome Clancy; ad un certo punto,all’improvviso, il padre rivolge una domanda al figlio: “Cosa ti piacerebbe fare da grande, figliolo?”
Venni colto alla sprovvista. Non avevo mai avuto dubbi su cosa avrei fatto. Avrei continuato a fare il contadino. Avrei coltivato quello che era possibile e me la sarei cavata nel migliore dei modi, proprio come aveva fatto papà. Mi resi conto che forse avevo la possibilità di scegliere e, di fronte a quella domanda, mi accorsi anche di avere una risposta.
Quelle parole mi saltarono fuori dalla bocca con grande naturalezza. Probabilmente era un po’ che covavo quell’idea dentro di me, ma ora che Doc Travis mi aveva portato quelle riviste e che papà mi aveva fatto quella domanda in maniera tanto diretta, era venuto il momento di prendere una decisione. Papà gridò:” Fermati!” a Clancy, poi si voltò dalla mia parte e mi guardò. Ebbi la terribile, pesante sensazione di aver dato la risposta sbagliata. “E allora?” chiese. Per un istante, considerai l’ipotesi di cambiare risposta, ma temevo che mi avesse sentito bene e che stesse solo assicurandosene.
“Mi piacerebbe scrivere delle storie” dissi nuovamente “Come quelle delle riviste che mi ha portato Doc Travis”.
“Delle storie?” chiese papà.
“Sissignore”.
“Vuoi dire, inventare e scrivere delle storie?”.
“Sissignore”.
Papà restò in silenzio per un momento, riflettendo. Iniziai a sentirmi a disagio a proposito della carriera che avevo appena scoperto di voler intraprendere. Dal tono di voce di papà, intuii che per me aveva pensato diverse attività, ma tra queste non figurava certo scrivere storie per riviste. Dopo un po’ chiese: “Pagano qualcuno per farlo? Per inventarsi delle storie?”.
A dir la verità, a quell’aspetto della mia carriera non ci avevo pensato. E se non ti pagavano per scrivere storie? E se quelle storie le scrivevano dei tizi ricchi per puro divertimento? Se quei tizi non avevano nient’altro da fare che bighellonare e scrivere storie e leggere libri?Voglio dire, chi ti paga per permetterti di spassartela? L’unico tipo di lavoro che avessi mai conosciuto non era affatto uno spasso. E la paga non era certo granchè, appena sufficiente per cerò fui abbastanza temerario da dire: “Penso di sì, papà”.
Lui annuì.
“E perché lo vorresti fare, figliolo? Perché vorresti scrivere storie?”.
“Perché sì” risposi “Sento che devo farlo”. Ed era vero. Più ci pensavo e ne parlavo, e più ero determinato a diventare scrittore. Era un’idea che mi faceva stare bene, come bere una bella tazza di caffè caldo in una mattina fredda e lasciarlo arrivare nello stomaco. Mi aspettavo che papà mi facesse un bel discorsetto sul senso pratico, ma invece mi sorprese.
“Bene, figliolo, se questo è la tua aspirazione, penso che debba imparare come si fa. Dovrai andare a scuola più spesso, considerato che hai saltato un bel po’ di lezioni.”
Non stava parlando a vanvera. Avevo saltato molti giorni di scuola. Abitando dove abitavamo, non disponendo di una automobile e considerato che papà aveva bisogno del mio aiuto in casa, non avevo molte opportunità per raggiungere il paese e andare a scuola. A volte, ultimato il raccolto o quando c’era poco da fare, salivo sul mulo e mi recavo in paese per frequentare il maggior numero di ore di lezione possibile. Ma, alla fine dell’anno, non è che fossero poi molte.
“Non so come riusciremo a farlo, papà. Tu e mamma avete bisogno di me qui”.
Non replicò.
“E non ti serve una di quelle macchine da scrivere che metteno le parole sulla carta?”.
Non ci avevo pensato.
“Sissignore. Penso di sì”.
“Dovresti imparare a usarla, se ne avessi una, giusto?”.
“Sissignore”.
“Ovviamente, dovresti procurarti la carta e tutto il necessario per una macchina da scrivere”.
“Sissignore”dissi.
“E poi dovresti scoprire dove si può vendere quello che hai scritto”.
“Sissignore, immagino di sì”.
Stavo iniziando a pensare che papà volesse evidenziare i punti deboli del mio piano, cercando di farmi tenere i piedi per terra, ma continuò a parlare e capii che mi sbagliavo.
“Ora che ci penso, potresti trovare gli indirizzi utili a cui mandare le tue storie controllando sulle riviste che leggi.”.
…
“Bene, se davvero è questo che vuoi fare… se vuoi scrivere quelle storie, allora la decisione spetta a te. Ma io la tua possibilità, in un modo o nell’altro, te la concederò. Capito?”.
“Sissignore”.
Accade che eventi non pensabili si intreccino e incontri fortuiti ti cambino la vita.
Così è avvenuto quando ho sfiorato l’idea di avvicinarmi al playback theatre, questo
sconosciuto!
Mi sono ritrovata dentro, come presa da un vortice, senza capire bene cosa andassi a
fare e quali fossero le mie motivazioni. Nella vita può accadere di ritrovarsi attratti da
situazioni o ambienti, senza aver chiaro il motivo per cui accada; si vive una dicotomia
tra la dimensione affettiva e quella logico-razionale e le scelte, allora, sono due:
essere cerebrali oppure seguire l’istinto, ma senza grandi certezze, in uno stato di
disequilibrio, come quando stai per lanciarti da un trampolino e il momento che
trascorre dal lancio all’atterraggio è una totale perdita di punti di riferimento, come
una destrutturazione delle proprie categorie di funzionamento – prima presenti – e
possibilità di nuovi orizzonti. L’adrenalina e la paura, però, ti possono portare in quel
particolare flusso, che ti aiuta a comprendere il significato della tua esperienza.
Si chiama sincronicità e l’ho sperimentata una sera ad “Artinscena”, quando mi sono
sentita spinta a raccontare una storia. Nel playback theatre il ruolo del narratore,
apparentemente semplice, è invece un elemento cardine di tutto il processo. Che cosa
accade nella mente e nel cuore di una persona, nel momento in cui decide di narrare,
è paragonabile a una presa di coraggio, poiché è come se il narratore assumesse il
ruolo del guerriero e scendesse in battaglia a nome del suo esercito (il pubblico).
Nessuno si offriva e in quel momento ho sentito di dovermi assumere la responsabilità
di dare voce al silenzio, di portare il “che cosa era per me essere comunità”. Il silenzio
è sempre una grande opportunità di cambiamento, perché in quello spazio-tempo,
che si materializza quasi in maniera fisica tra il conduttore e il pubblico, si gioca la
creatività e, in modo quasi maieutico, l’occasione di partorire desideri ancora
embrionali. Sentivo mia la responsabilità verso il gruppo di dare una voce al suo
silenzio, ma al tempo stesso sentivo la responsabilità verso me stessa di dare voce a
silenzi assordanti dentro me.
Tutto avviene in pochi istanti, nonostante la percezione del tempo soggettiva sia ben
diversa, come se un flusso e un vento creativo ti spingesse, nonostante tu faccia
resistenza, ad alzarti e a dire: “Ho una storia”.
Da mesi in me stava nascendo un desiderio che non osavo ammettere nemmeno a
me stessa. Il bisogno di uscire dalla mia individualità per essere gruppo di
condivisione, parlare lo stesso linguaggio, creare una rete di pensiero, per progettare
una comunità di vita su temi di eco sostenibilità.
Nel vedere la mia fantasia messa in scena ho sperimentato la magia del playback
theatre, il non pensabile reso pensabile e forse realizzabile.
Nella performance, la mia storia mi è stata restituita come dono, la mia esperienza
individuale ha assunto un ruolo universale, ho al tempo stesso visto e sentito
sfumature, che non avevo contemplato a livello razionale; in un gioco di rimbalzo tra
la mente e il cuore ho sentito che le mie parole, uscite come un flusso non domato e
quasi ribelle, stavano prendendo forma e la nebbia emotiva, che aveva sino ad allora
avvolto il mio sentire, stava svanendo, lasciando intravedere paesaggi impensabili.
Descrivere con il codice digitale il processo catartico che avviene a livello individuale
per il Narratore, ma anche a livello collettivo per il pubblico, risulta difficile e non
esaustivo; posso, però, dire che la mia esperienza come Narratore, in quella
particolare occasione, mi ha cambiata e ha dato una direzione nuova al mio viaggiare.
Il vascello del playback theatre stava per salpare dal mio porto sicuro verso lidi ancora
sconosciuti, ma su un mare sicuro.
Da allora, il mio amore per il playback theatre ha preso forma concreta nel desiderio
di sviluppare pensiero nuovo tra le persone, affinché io in prima persona e gli altri di
riflesso, nella relazione con me, concretizzassimo un nuovo modo di vivere che non
fosse “sostenere temi ecologici”, bensì Essere ecosostenibili.
Qual è la relazione tra l’ecosostenibilità e salire sul palco?
Introduzione
Immaginate un palcoscenico,
immaginate di usare il palcoscenico come tale e farne uno sfondo per la vostra
recita…
voi attori in primo piano, al centro dell’attenzione del pubblico e della vostra.
Immaginate poi un palcoscenico,
immaginate di essere nel palcoscenico,
immaginate come può cambiare la prospettiva del pubblico e la vostra.
Ogni parte in sinergia, i cubi, i teli, gli attori, tutti integrati in un unico modo di essere,
sentire e mettersi in gioco, in maniera autentica.
Immaginate un bosco,
immaginate di trovare una panchina nel bel mezzo del bosco e di appoggiare il vostro
cibo per il pic nic,
immaginate di lamentarvi perché non c’è un cestino dei rifiuti,
prendete il sacchetto dell’immondizia e lo lasciate lì, inconsapevoli di ciò che vi sta
attorno, al centro dell’attenzione solo voi e non il bosco.
Immaginate poi un bosco,
immaginate di camminare a piedi nudi nel bosco, di sentire il massaggio della terra
sulla pianta dei piedi, l’odore di muschio attorno e di vedere la luce che traspare
danzando,
la pioggia leggera che attraversa lo spazio tra una foglia e l’altra,
immaginate di sentirvi ed essere parte del terreno, del vento ed essere il Bosco…
Nel playback theatre non è importante avere un palcoscenico particolare, arredato o
adattato a seconda dell’evento, poiché è il luogo stesso che si trasforma, esaltando
l’azione spontanea del momento; come nel teatro primitivo, si viene a creare un
momento magico e tutti partecipano all’evento. La condivisione delle storie della
comunità, nello spazio collettivo, ha un ruolo primario, perché si dà ascolto e
riconoscimento alle storie. Jonathan Fox ha voluto, con il playback theatre,
recuperare il ruolo di servizio svolto, nelle società preletterarie, dalla tradizione orale:
un evento collettivo diviene condivisione dei vissuti personali, conduttore della
consapevolezza dell’appartenenza sociale e recupero di una Coscienza Collettiva.
Nel playback theatre servono pochi materiali di scena, semplici e poveri, ma è
necessario avere “grandi orecchie”. I performers stessi, con tutto il loro ascolto, sono
il materiale di scena.
I performers, nel mettere in scena la narrazione ricevuta, percorrono un cammino di
sviluppo della storia, portando elementi individuali, significati universali, archetipi,
ruoli sociali, promuovono tesi reali o provocatorie per dare dinamismo all’azione. Non
si tratta di una mera rappresentazione artistica, bensì di un sentire autentico che
diventa strumento del sentire del Narratore e della comunità narrante.
Non si rimane nella descrizione, ma si destruttura la storia nei vari livelli percorribili,
rimandando così al narratore sfumature nuove e lasciando che ci sia tra il palco e il
pubblico e, in particolare, tra attori e narratore un fluire emotivo che magicamente
permette di dare e ricevere.
Le mie due passioni, il teatro della spontaneità e la Natura, si sono così intrecciate
quando ho cambiato la mia prospettiva di stare nel Mondo. Non mi bastava più vivere
a un livello superficiale e sono andata a ricercare le mie radici. Sentivo la necessità di
capire il significato del mio essere nel mondo, ma anche il significato dell’essere
collettivo nel mondo e da qui è nata l’idea di comprendere quale rapporto avesse
l’essere umano con l’ecosistema, la Terra, utilizzando i quattro livelli del playback
theatre come strumento di osservazione.
Sento il dovere etico di affrontare il nostro rapporto con la Madre Terra, capire che
tipo di approccio ha l’uomo nei confronti del pianeta in cui vive e cresce e che tipo di
consapevolezza ha sviluppato. Il playback theatre come teatro di sviluppo di comunità
e come teatro spontaneo e autentico può aiutare a sviluppare un sentire collettivo
traducendolo, successivamente, in azioni concrete.
L’obiettivo di questa tesi è offrire una chiave di lettura per i temi dell’eco-sostenibilità,
traslando i quattro livelli del playback theatre: individuale, gruppale, sociale e
archetipico.
Capitolo uno- I 4 livelli del PT per rileggere il rapporto tra uomo e natura
Livello Individuale
L’uomo moderno ha creduto di poter sfruttare il più possibile la Terra, cercando di
fare del Mondo il palcoscenico del proprio spettacolo, sporcando con i propri rifiuti,
prosciugando le riserve e cercando di trarre il massimo beneficio personale dal luogo
che lo stava ospitando. Le tribù più antiche hanno sempre avuto un rapporto
rispettoso verso la Madre Terra; riconoscenti, hanno cercato di mantenere e
conservare ciò che era stato dato loro.
“bisogna muoversi… come ospiti… pieni di premure
con delicata attenzione… per non disturbare”
(Tutto l’universo obbedisce all’amore-Franco Battiato)
Al tempo stesso si fa strada sempre più il desiderio dell’uomo di oggi di una
maggiore connessione con la natura. Quante persone, che abitano nelle metropoli,
raccontano di sentirsi felici quando fanno una passeggiata in un bosco, quando sono
su una spiaggia. È proprio nella natura dell’uomo rimanere collegato e da questo
ascolto prendono vita gruppi e movimenti…
Livello Gruppale
Quando ci si è accorti che, a livello ecologico, l’uomo aveva compiuto disastri, allora
piccoli gruppi hanno cominciato a muoversi per mettere in discussione il pensare
comune: ambientalisti, attivisti permisero all’uomo e alla società di accorgersi che il
maltrattamento perpetrato sino ad allora era inammissibile.
La coscienza collettiva, però, non era ancora pronta per un lavoro più profondo, era
il tempo delle toppe, laddove si erano fatti danni esagerati.
Il mondo, come palcoscenico della vita dell’uomo, doveva essere ripulito, perché “non
era bene tenere male la propria casa”.
Sulla spinta degli effetti inquinanti dello sviluppo industriale nacquero, negli anni
sessanta, i primi dibattiti politici e i primi movimenti ambientalisti cominciarono ad
organizzarsi politicamente negli anni settanta. Il primo Partito Verde della storia
nacque in Australia nel 1972, in Tasmania, il “Gruppo Tasmania Unita”, mentre
in Europa, il primo partito ambientalista fu fondato in Gran Bretagna nel 1973
(dapprima nominato People, poi Ecology Party ed infine Green party).
La coscienza ambientalista si rafforzò dopo la pubblicazione, nel 1972, del Rapporto
sui limiti dello sviluppo a cura del Club di Roma, che prediceva pessime conseguenze
sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana, a causa
della crescita della popolazione mondiale e dello sfruttamento di risorse correlato.
Gli sforzi dei movimenti ambientalisti hanno portato a grandi risultati nelle politiche
ambientali, come la creazione dell’Ufficio Europeo dell’Ambiente, lo sviluppo e
l’applicazione di norme sulla protezione ambientale, lo sviluppo di aree protette,
l’introduzione di sistemi di tassazione dei rifiuti o emissioni basato sulla quantità
effettivamente prodotta. Da ricordare, inoltre, che con le pressioni degli ambientalisti
e del mondo scientifico sono stati adottati a livello mondiale due importanti
protocolli: quello di Montreal per la protezione dello strato di Ozono e quello di Kyoto
per combattere il riscaldamento globale.
I temi principali toccati dall’ambientalismo sono:
● la conservazione della Natura e degli equilibri ambientali;
● l’inquinamento;
● la protezione della fauna selvatica;
● gli ecosistemi e le aree protette;
● la politica di gestione dei rifiuti;
● la produzione agricola biologica;
● la gestione delle risorse energetiche (con particolare interesse alle fonti
alternative di energia e alle rinnovabili);
● altri ideali di sviluppo (consumo critico, sviluppo sostenibile e decrescita);
● i mutamenti climatici;
● la pace.
Il gruppo è fondamentale per riuscire a creare azioni e cambiamenti. Questo livello è
da curare in modo particolare per produrre cambiamento ed è attraverso il
sociodramma che questo può avvenire. Il vero soggetto di un sociodramma è il
gruppo. Il sociodramma è lo strumento ideale per rendere consapevoli i gruppi, i
singoli e per individuare e sostenere le azioni più efficaci.
“Non è limitato da un numero speciale di individui, può essere formato da tutte le
persone che vivono in un luogo qualunque, ovvero da tutte quelle che appartengono
alla stessa cultura. Il sociodramma si basa sulla tacita supposizione che il gruppo
formato dal pubblico sia già organizzato dai ruoli sociali e culturali che, in una certa
misura, sono interpretati da tutti i portatori di cultura.” (Moreno, 1985, p. 418).
“Obiettivo del sociodramma è la focalizzazione e il confronto dei vari ruoli significativi
per il gruppo, per un loro riconoscimento e una migliore integrazione. Il livello di
intervento sociodrammatico invece comporta un’attenzione al gruppo nel suo insieme
e sulle sue relazioni interne; in questo caso il singolo è considerato in quanto risorsa o
parte del gruppo, ma il focus resta il gruppo…Con un’immagine, il livello
sociodrammatico può essere rappresentato dallo sguardo che si concentra sul bosco
nel suo insieme, senza perdere la coscienza che esso è composto da singoli
alberi.”(Disabilità e sessualità: un’esperienza sociodrammatica – Efficacia del
sociodramma nel lavoro con grandi gruppi -Luigi Dotti).
Livello Sociale
Il movimento dal basso ha avuto il potere e la responsabilità di sensibilizzare la società
rispetto alla necessità di differenziare i rifiuti e, in una fase più avanzata ed evoluta, a
differenziare per recuperare e riciclare i materiali, che altrimenti sarebbero andati a
inquinare e sporcare il proprio palcoscenico di vita.
Usare materiali riciclati, stimolare pensiero di eco sostenibilità, per poter recuperare
tempo e salvare questo nostro mondo malato, sono assunti entrati, a buon diritto, nel
patrimonio culturale.
L’ Ecologia sociale è la corrente di pensiero secondo la quale, lo sfruttamento della
natura da parte dell’uomo deriverebbe da una costruzione psicologica profonda della
società umana, fondata sul binomio comando-obbedienza e ritiene che, per risolvere
la questione ecologica, sia necessario abbandonare i modelli di autorità e gerarchia
propri del capitalismo.
La soluzione proposta è di rendere consapevole l’umanità, attraverso l’informazione,
che le risorse naturali scarseggiano e, quindi, non si può rimandare oltre la ricerca
rispetto alle energie alternative. Un grande problema è quello della dipendenza dai
Paesi fornitori di petrolio e gas, che crea dinamiche internazionali di dominio, potere,
scatenando guerre camuffate da ideologie politiche, ma che hanno come obiettivo
ultimo l’accaparramento delle risorse residue rimaste, seguendo il motto “Mors tua,
vita mea” o, come diceva Hobbes, “Homo homini lupus”.
La crisi economica porta ad una riflessione sulla necessità di trovare strade per
l’indipendenza energetica.
Livello Archetipico
Il mutamento di prospettiva, lo spostamento da un livello superficiale a uno più
profondo; la nostra biosfera non più come luogo da conquistare, devastare e
rimettere in sesto, perché “tutto sommato è un bel giocattolino da tenere con cura!”.
Il riconoscimento del legame affettivo e intimo, il pulsare di energia vitale dentro di
noi e dentro la Madre Terra, il rispecchiamento e il riconoscimento di una storia
comune, permettono di recuperare storie antiche, patrimonio prezioso da custodire
per la costruzione del futuro.
Non solo nella tradizione orale, ma anche nella poesia, nella letteratura, nelle canzoni,
l’uomo affronta la ricerca, prima individuale e poi di gruppo, di una realtà superiore,
di un rapporto con l’Uno che può assumere infinite forme, ma che riconduce
inevitabilmente al rapporto ancestrale con la Terra da cui proveniamo. Le nostre radici
nutrono i rami attraverso il tronco e producono fronde rigogliose. È tutto interrelato,
collegato; si parla di ecosistema perché non vi è nulla che accada qua e che non abbia
una ripercussione là, la vita di ogni singolo elemento determina la vita dell’altro, non
è possibile chiudere gli occhi e credere che possiamo far finta che non ci siano intrecci.
Soltanto intrecciando le nostre storie e prendendo energie l’una dalle altre possiamo
tessere un arazzo e rendere i suoi colori il più belli possibile. Riconoscere la necessità
di essere come un albero, le cui radici sostengono un tronco, forte ma flessibile, che
a sua volta ha una chioma di rami e foglie che mostrano al mondo la bellezza di un
lavoro più interiore; affrontare uragani, ma rimanere ancorati alla nostra Madre
Terra. Sviluppare resilienza è possibile amplificando il sentire collettivo archetipico.
Capitolo due- L’ Ecologia profonda, come ricerca del ritorno a Casa.
Il mio interesse per l’ecologia, presente in nuce sin dall’infanzia, ma emerso come
aspirazione di cambiamento successivamente, mi ha portata a centrare questo
elaborato sulla deep ecology, cercando le connessioni tra la “scienza della casa”
(ecologia) e il playback theatre, strumento principe, dal mio punto di vista, per
arrivare al “cuore della casa”, valorizzandone le fondamenta e riconoscendone ruolo
e significato.
L’esperienza di ognuno nel riuscire a ritornare a Casa, attraverso il sentiero della
spontaneità, su strade sconosciute, con le indicazioni del Sole e delle Ombre, è
un’esperienza che connette chi ascolta e mette tutti in comunicazione, su registri che
vanno oltre l’individualità.
Stare sul palcoscenico e fare PT è come ritornare a casa perché contattiamo i nostri
bisogni più profondi, possiamo metterli in gioco e soddisfarli nella spontaneità,
autenticità, in relazioni dove sia possibile sperimentare la libertà di espressione,
l’Essere nel profondo.
All’inizio degli anni ’70 la riflessione sulle conseguenze della crisi ecologica e sul
rapporto uomo-ambiente cominciava a fiorire anche in ambito filosofico, nel mondo
anglosassone e in alcune scuole continentali. Con l’articolo The Shallow and the Deep-
Long Range Ecology Movement. A Summary, del 1973, Arne Naess introduceva una
terminologia ed una serie di princìpi che, negli anni ’80, avrebbero acceso il dibattito
all’origine dell’etica ambientale. Il filosofo norvegese, padre dell’ecologia profonda, è
ancora oggi un punto di riferimento e di confronto imprescindibile per il pensiero
filosofico-scientifico, che si occupi del rapporto tra uomo e natura in un senso
ecologicamente informato. Il confronto sulle questioni ambientali rivela,
prevalentemente, differenze nel modo di esperire ciò che è reale. Per questo motivo
l’etica ambientale diventa ontologia. Se una comunità o un amministratore devono
decidere se costruire una strada nel mezzo di una foresta (un esempio che Naess
porta spesso), la decisione si basa, in ultima istanza, sul valore di quella foresta,
fondato sulla visione che il soggetto decisionale ha della realtà di quella foresta.
Pensare che quella foresta sia, oggettivamente, soltanto un insieme di alberi e che un
bilancio materiale dei costi e dei benefici sia un’adeguata rappresentazione del suo
valore è irrealistico, poiché ignora deliberatamente una serie di elementi esperiti, che
vengono esclusi dalla rappresentazione, cosiddetta, oggettiva e razionale. Alla base di
tale indebita discriminazione non vi è, a ben vedere, nemmeno l’interesse utilitaristico
ed antropocentrico, ma un’ideologia.
“Il tentativo è quello di difendere la nostra esperienza spontanea, ricca ed
apparentemente contraddittoria della natura, come un di più che semplici impressioni
soggettive. Queste costituiscono il contenuto concreto del nostro mondo.” Naess,
Ecology, Community and Lifestyle, cit., p.35.
La descrizione del mondo naturale e della nostra relazione con esso, offertaci
dall’ecologia, può essere riassunta nella massima “tutto dipende da tutto”.
Normalmente consideriamo la natura, l’ambiente circostante, come lo sfondo sul
quale si sviluppa la vicenda umana. Questo sfondo è inteso come impersonale e
dotato dei caratteri fisico-oggettivi studiati dalle scienze naturali. Il modo in cui gli
uomini esperiscono la natura è, invece, inteso come soggettivo. Il valore che un
individuo attribuisce alla natura, quando è limitato all’esperienza che ne fa in
occasioni ricreative, è considerato del tutto personale. L’idea di enti separati e
indipendenti, l’immagine di “uomo nell’ambiente” va abbandonata in favore
dell’immagine di “campo totale relazionale”. La relazionalità ecologica sostiene la
rappresentazione del mondo come “relazioni continue di interdipendenza” (A. Naess,
The World of Concrete Contents, “Inquiry”, 28, 1985, p. 417, A. Naess, Ecology,
Community and Lifestyle, cit., p. 35.)
Anche sul palcoscenico tutto dipende da tutto, ogni elemento è interconnesso,
nell’arte scenica si manifesta la connessione tra i vari livelli di evoluzione delle storie.
I singoli performers si muovono come arti di uno stesso corpo, ricevendo l’impulso
dalle stesse cellule nervose e adattando il proprio movimento al resto del corpo,
cercando un fluire armonioso.
L’ecosistema playback mi verrebbe da dire! Dove ogni parte è Tutto e dove il Tutto
non esiste senza una parte. La sinergia ricercata e curata sul palco, dove la Narrazione
diviene cura per il singolo narratore, ma anche balsamo per il resto del pubblico e
occasione di catarsi per gli attori sul palco. Ogni singolo elemento dell’habitat teatrale
ha un grado paritario di responsabilità, affinché il respiro del playback possa muoversi
in maniera circolare e spontanea, riempia di aria la sala, senza pensare tecnicamente
al processo, bensì facendo del processo rituale un movimento vitale e spontaneo.
“Sono propenso soprattutto a mettere l’enfasi sull’ontologia ambientale, sul modo in
cui vedi il mondo, come lo vedi, sul modo in cui puoi portare le persone a vedere le
cose in modo diverso. “Mi preme sottolineare la grande potenzialità del PT per portare
avanti questo pensiero. “[…] dobbiamo avere la stessa irriverenza di Kierkegaard
verso ogni forma di pensiero stabilito, ogni tipo di credenza stabilita, ogni tipo di
atteggiamento stabilito; in ogni momento devi scegliere la tua vita, di nuovo e ancora,
e ancora. “Al diavolo tutto” – ricomincia, come se questo istante fosse il tuo primo ed
ultimo. Naess ci sfida a riprendere fiducia nel nostro modo spontaneo di esperire il
mondo, ingaggiando la nostra esistenza in un’esperienza diretta del reale e rigettando
ogni forma di pensiero precostituito. Perché un calcolo di costi-benefici, applicato ad
una foresta, deve essere considerata una forma valutativa più reale e concreta
rispetto al senso di appartenenza, che la stessa foresta suscita in un individuo o in una
comunità? Spesso l’ambientalismo deve ricorrere ad argomenti di tipo utilitaristico
per poter essere incisivo, assecondando la valutazione del vantaggio materiale di un
ambiente naturale in termini di risorsa o, in alcuni casi, di sopravvivenza. Ogni
accenno al “valore” viene additato come soggettivo, frutto di un interesse puramente
estetico: “Nel dibattito ambientalista, coloro che si battono per ‘salvare’ un ente
naturale, un fiume, una foresta, un mare, una specie animale o vegetale, un
paesaggio, si scontrano continuamente con l’accusa di esprimere sostanzialmente un
sentimento o un giudizio soggettivo di piacere/dispiacere. Si dice che costoro mancano
di obiettività e, soprattutto, di un’adeguata corrispondenza alla realtà dei fatti anziché
soltanto alla realtà come loro la percepiscono”.
L’esperienza spontanea è fatta di un’immagine generale, immediata e ampia, come
un’unità, in cui il soggetto e gli oggetti sono connessi senza soluzione di continuità, se
non attraverso un’analisi astratta. Nell’esperienza spontanea, gli enti sono relazionati
come parte di una visione totale. La visione totale integra teorie, valori, emotività,
qualità degli enti, tutti gli elementi che concorrono a definire la nostra esperienza
contingente, in maniera solitamente implicita, immediata, lavorando in sottofondo.
Io credo che il teatro di sviluppo di comunità, nella sua veste di teatro autentico, possa
davvero divenire ottimo strumento per sviluppare l’esperienza spontanea e i valori,
l’emotività del rapporto dell’essere umano con la Natura e recuperare una
interconnessione ancestrale, appartenente all’Inconscio Collettivo.
Nel PT, applicato all’ecologia, si esplora il legame degli esseri umani con la Madre
Terra, lo si analizza, si fa emergere per mettere in scena le storie legate a questo
connubio antico e archetipico.
Capitolo tre- Il Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi Ecologo globale
Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono la lode, la gloria, l’onore ed ogni
benedizione.
A te solo Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di pronunciare il tuo nome.
Tu sia lodato, mio Signore, insieme a tutte le creature specialmente il fratello sole, il
quale è la luce del giorno, e tu attraverso di lui ci illumini.
Ed esso è bello e raggiante con un grande splendore: simboleggia te, Altissimo.
Tu sia lodato, o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai formate, chiare
preziose e belle.
Tu sia lodato, mio Signore, per fratello vento, e per l’aria e per il cielo; quello
nuvoloso e quello sereno e ogni tempo
tramite il quale dai sostentamento alle creature.
Tu sia lodato, mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa
e pura.
Tu sia lodato, mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte. E’
bello, giocondo, robusto e forte.
Tu sia lodato, mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci dà nutrimento,
ci mantiene e produce diversi frutti con fiori colorati ed erba.
Tu sia lodato, mio Signore, per quelli che perdonano in nome del tuo amore e
sopportano malattie e sofferenze.
Beati quelli che le sopporteranno in pace, perché saranno incoronati.
Tu sia lodato, mio Signore, per la nostra morte corporale, dalla quale nessun uomo
vivente può scappare:
guai a quelli che moriranno mentre sono in situazione di peccato mortale.
Beati quelli che la troveranno mentre stanno rispettando le tue volontà,
perché la seconda morte, non farà loro male.
Lodate e benedicete il mio Signore, ringraziatelo e servitelo con grande umiltà.
Gli ecologi hanno scelto come patrono dell’ecologia un santo e, più specificatamente,
San Francesco (proclamato a “Celeste patrono dei cultori dell’ecologia”, il 29
novembre 1979, per volere di Giovanni Paolo II, che siglò la bolla Inter sanctos ),
perché hanno intuito che “limitarsi a vedere le cose solo lì, nell’immediato, nella
molteplicità dei problemi, e anche nel loro splendore e nella loro bellezza, a vedere i
rapporti umani nella molteplicità delle tensioni e anche nello splendore, nella
creatività di questi rapporti, come pure nella tristezza, nella contraddittorietà, nei
conflitti, limitarsi a vedere e a guardare solo così, non mostrava il chiostro del mondo,
ma un campo di battaglia.
Francesco ci indica qual è il chiostro del mondo nella sua verità, diventa colui al quale
possiamo ancora chiedere qualcosa sull’ecologia, ci mostra incessantemente, nella
fraternità universale, la via per risolvere i nostri problemi” (Padre Simpliciano Olgiati,
Ecologia-problema globale).
“Dio ha tutto creato per te, o uomo, tutte le cose ti portano il sussurro di Dio”.
Un sussurro che viene dai cieli immensi e dalle più umili erbe.
Vi è la precisa coscienza che San Francesco possa dire qualcosa sul tema dell’ambiente
anche ai nostri giorni, nonostante la situazione sia molto diversa rispetto al Medioevo.
L’angoscia per il destino dell’umanità e del pianeta in cui viviamo oggi, ci può rendere,
tuttavia, più disponibili all’ascolto del Cantico delle creature, da cui traspaiono
armonia e semplicità di sentire tali da far nascere in ciascuno di noi, credente o non
credente, una nostalgia e un desiderio di salvezza universale.
È principalmente questo valore di messaggio di salvezza a rendere il Cantico di San
Francesco particolarmente attuale, in un clima d’inquietudine dovuto al degrado
ecologico sempre più devastante.
Il significato originario della parola “ecologia”, introdotto per la prima volta nel 1866
dal biologo Hekel e, in Italia, dal biologo Girolamo Azzi intorno all’anno 1930,
rimandava al rapporto tra gli organismi viventi e l’ambiente circostante. Oggi,
l’ecologia ha assunto una portata esistenziale di ordine filosofico-antropologico,
poiché si occupa di trovare soluzioni possibili ai problemi fondamentali della
sopravvivenza.
Noi siamo gli eredi del pensiero moderno che fa capo a Cartesio il quale, nel suo
“Discorso sul metodo” dice: “Conoscendo la forza e le azioni del fuoco, dell’acqua,
delle stelle, del cielo e di tutti gli altri corpi che ci circondano, con la stessa chiarezza
con cui noi conosciamo i diversi mestieri dei nostri artigiani, potremmo allo stesso
modo impiegare quei corpi in tutti i loro usi peculiari, e diventare così padroni e
possessori della natura”.
Il problema è questo voler diventare padrone della natura e usarla a proprio
piacimento, fino al punto di poterne abusare.
L’esperienza dimostra che la natura non subisce soltanto, ma restituisce all’uomo la
violenza subita, producendo conseguenze non sempre facilmente controllabili.
Una risposta vera può essere trovata nel Cantico delle creature di San Francesco, che
ci rivolge un messaggio in antitesi al nostro modo di vivere e di comportarci.
Se vogliamo accoglierlo, dobbiamo essere disposti a cambiare in profondità il nostro
modo di vivere e di sentire; dobbiamo essere disposti a mettere in discussione la
nostra interiorità per vedere nel sole, nella terra, nella luna, nelle stelle, nel fuoco, nel
vento, la presenza del sacro e dell’Uno, qualsiasi forma si voglia associare ad esso. Per
poterla scoprire nella natura, la dobbiamo scoprire in noi stessi.
Il Cantico delle creature è il cantico della riconciliazione del naturale col
soprannaturale, dell’uomo con l’Uno, dell’uomo con sé stesso e con gli altri uomini.
Se l’uomo è violento verso la natura, lo è anche verso se stesso e verso gli altri uomini.
Il messaggio di salvezza del Cantico ci parla di riappacificazione, di riconciliazione
dell’universo, che non può prescindere dalla riconciliazione degli uomini e dalla
riconciliazione con l’Uno.
“Francesco ecologo globale” per indicare che il suo modo di rapportarsi con il creato
ha come centro l’uomo, visto nella molteplicità delle sue esigenze, delle sue
dimensioni e del fine specifico che è a lui assegnato.
Ecologia significa “discorso sulla casa”, con allusione a questa grande casa della terra,
casa di tutti gli uomini, come diceva San Bonaventura, e di tutti gli esseri visibili.
Francesco aveva questa idea della terra come casa nostra e, dunque, una terra
doppiamente provvidente, doppiamente affettuosa come sorella e come madre.
Francesco, però, non voleva avere una casa stabile, una “permanente abitazione”; per
Francesco valeva il codice del pellegrino, il quale va, guarda ammirato i paesi e il
paesaggio, sosta necessariamente alla sera, per poi ripartire verso la casa vera, verso
la patria vera da cui è partito.
“Per sora nostra matre terra, la quale ne su stenta et governa et produce diversi fructi
con coloriti fiori et herba”, è, quasi letteralmente, una citazione biblica dal Genesi2,
ma dentro la citazione Francesco inserisce anche “i coloriti fiori”.
La Leggenda perugina racconta che Francesco diceva, al frate incaricato dell’orto, di
non coltivare erbaggi commestibili in tutto il terreno, ma di lasciare uno spazio libero
di produrre erbe verdeggianti, che alla stagione propizia producessero i fratelli fiori.
I fratelli fiori rivelano la profondità di Francesco: consigliava all’ortolano di adattare a
giardino una parte dell’orto, dove seminare e trapiantare ogni sorta di erbe odorose
e di piante che producono bei fiori, affinché nel tempo della fioritura invitassero tutti
quelli che le guardavano a lodare Dio, perché ogni creatura sussurra e dice: “Dio mi
ha fatta per te, o uomo”. É un modo concreto e immaginifico di dire che ogni creatura
ha una sua forza – che vale per sé – e ogni creatura è capace di offrire un servizio per
l’uomo.
Francesco ha una prospettiva ecologica che pone l’accento anche su esigenze
spirituali, perché in realtà tiene conto dell’uomo nella sua interezza, ossia l’uomo
dell’orto e del giardino, l’uomo che vede nel suolo e nei suoi prodotti il giusto utile e
l’uomo che sente il sussurro di Dio, che ha bisogno di contemplare la bellezza dei fiori.
Da sottolineare che, pur operando in situazioni significativamente diverse dalle
nostre, fra immense distese di pianure e boschi, si preoccupava di fare spazio
all’erba!
Tratto da Padre Simpliciano Olgiati “Ecologia problema globale”, Quaderni di
Spiritualità Francescana, n. XVII
Il PT tiene conto dell’uomo e della donna nella loro interezza, come un contadino, nel
suo orto, ha bisogno dell’acqua e del Sole, della zappa e dell’ombra, dei semi e degli
spaventapasseri, della fatica e della perseveranza, affinché ogni pianta vada ad
arricchire il suo terreno, così guardiamo il PT come il modo per onorare la storia di
ogni parte di questo orto sinergico!
Capitolo quattro – l’uomo e la Madre Terra
Ho radici nascoste
Dentro la terra scura
Denari sepolti
Da mani lontane
Nel tempo
Ho ferite nascoste
Nella mente e nel cuore
Tagli coperti
Da vesti lise
Dal tempo
Ho gettato su colline Fertili
Semi che il vento ha cullato
Germogli di vita
Cresciuti
Nel tempo
Non ho piedi
Ma radici divelte
Non ho pelle
Ma pori dilatati
Dilaniati
Aria aria Respiro
Aria aria aspiro
Nel ventre materno
Ritorno
aria aria respiro
“Sono una pietra, ho visto vivere e morire, ho provato felicità, pene ed affanni: vivo
la vita della roccia. Sono parte della Madre Terra, sento il suo cuore battere sul
mio, sento il suo dolore, la sua felicità: vivo la vita della roccia. Sono una parte del
Grande Mistero, ho sentito il suo lutto, ho sentito la sua saggezza, ho visto le sue
creature che mi sono sorelle: gli animali, gli uccelli, le acque e i venti sussurranti,
gli alberi e tutto quanto è in terra e ogni cosa nell’universo” (Preghiera Hopi).
Il filosofo norvegese Arne Naess, negli anni settanta, in un rivoluzionario articolo,
distinse categoricamente l’ecologia in Shallow ecology (superficiale) eDeep
ecology (profonda).
“L’ecologia profonda è radicalmente tradizionale dal momento che collega una
corrente antichissima di minoranze religiose e filosofiche dell’Europa occidentale,
del Nord America e dell’Oriente e ha anche forti legami con molte posizioni
filosofiche e religiose dei popoli nativi (compresi gli indiani d’America). In un certo
senso essa può essere considerata come la saggezza che conserva il ricordo di ciò
che gli uomini sapevano un tempo” (Devall & Sessions, 1989).
L’ecologia profonda va ben oltre l’analisi superficiale e asettica dei problemi
ambientali propria della scienza ecologica classica: “Si tratta dell’idea che non
possiamo operare alcuna scissione ontologica netta nel campo dell’esistenza: che
non c’è alcuna biforcazione nella realtà fra l’uomo e i regni non umani […] nel
momento in cui percepiamo dei confini, la nostra consapevolezza ecologica
profonda viene meno” (Fox, 1983 in Devall & Sessions, 1989).
L’essenza dell’ecologia profonda era già presente nelle epoche storiche remote;
nella cultura indiana e animista, ad esempio, si sono evidenziati atteggiamenti
mentali e pratici unificatori, dove ogni elemento aveva valore in sé ed acquisiva
un significato universale.
“Noi possiamo sopravvivere come specie solo se viviamo in accordo alle leggi
della biosfera. La biosfera può soddisfare i bisogni di tutti se l’economia globale
rispetta i limiti imposti dalla sostenibilità e dalla giustizia. Come ci ha ricordato
Gandhi: “La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di
alcune persone”- Vandana Shiva
Vandana Shiva, scienziata, scrittrice e attivista indiana, afferma che il modello di
sviluppo proposto dai paesi occidentali al resto del mondo, non è reale e sostenibile;
al contrario, crea indebitamento e povertà, poiché essi sono costretti a sostenere i
costi di un presunto benessere, cedendo le ricchezze naturali del paese, per lunghi
anni, a potenze straniere.
La cultura competitiva, che si basa su logiche di mercato, si sostituisce ai modelli
sociali e culturali tradizionali, determinandone la distruzione.
Il danno maggiore prodotto dalla civiltà industriale, cioè dai modelli occidentali,
secondo Shiva, è stata l’equazione donna-natura e la definizione di entrambe come
passive, inerti, cioè materia prima da manipolare.
A suo avviso invece “le donne sono le depositarie di un sapere originario, derivato da
secoli di familiarità con la terra, un sapere che la scienza moderna, maschilista e
patriarcale, ha condannato a morte”.
Secondo il pensiero maschile della tradizione occidentale, la cultura è altro dalla
natura e dalla donna; gli uomini hanno creato uno sviluppo “privo del principio
femminile, conservativo, ed ecologico”.
Clarissa Pinkola Estès, autrice del famoso “Donne che corrono coi lupi” nel suo libro
“La danza delle grandi madri” dedica un capitolo a “Gli alberi figlie”:
“…ogni albero ha, sottoterra, una versione primaria di sé stesso. Sotto la terra il
venerabile albero custodisce “un albero nascosto”, ancorato a radici vitali che
attingono incessantemente ad acque invisibili. Da queste radici, l’anima nascosta
dell’albero spinge l’energia verso l’alto, così che la sua vera e più audace e sapiente
natura sbocci in superficie.
Così, anche, la vita di una donna. Come un albero, qualunque sia la sua condizione al
di sopra del terreno, smagliante o sofferente… sottoterra vive “una donna nascosta”
che accudisce la scintilla d’oro, l’energia luminosa, la fonte di spiritualità che mai si
spegne. “La donna nascosta” si prodiga sempre per spingere questo essenziale slancio
vitale…verso l’alto attraverso la terra cieca, per nutrire la sua parte superiore e il suo
mondo alla sua portata. I suoi tempi di espansione e di reinvenzione dipendono da
questo ciclo.”
La donna e la Natura sono interconnesse e i loro confini si confondono.
Intervistata in occasione della pubblicazione del suo ultimo libro “Fare pace con la
terra”, Vandana Shiva dichiara: “Vedo una vera guerra contro la Terra, ma questa
guerra non è solo contro la Terra perché dipendiamo dalla terra, i contadini dipendono
dai campi, i popoli tribali dipendono dalle foreste, tutti dipendiamo dall’acqua,
ognuno di noi dipende dal cibo. La guerra contro la Terra diventa una guerra contro
gli esseri umani, è alla radice della fame e della sete nel mondo. Dobbiamo fare pace
con la Terra sia perché se lo merita, sia perché è l’unico modo di proteggere i diritti
umani.”
Cormac Cullinan, avvocato esperto di governance, vive in Sudafrica. Ha lavorato sui
diritti ambientali di varie nazioni africane, europee, asiatiche, nord e sudamericane;
nel 2010 ha partecipato attivamente alla stesura della Dichiarazione Universale dei
Diritti della Madre Terra presentata all’Assemblea Generale dell’ONU. Ha scritto il
libro Wild Law, I diritti della Natura, considerato da Vandana Shiva una pietra miliare
per sviluppare un nuovo modo di vivere con la Natura. Cormac, infatti, si concentra
sulla Giurisprudenza della Terra, che ha l’obiettivo di riprogettare i sistemi
amministrativi sulla base dei principi fondamentali di funzionamento dell’Universo.
Cormac, citando anche il Film “Into the wild”, vuole promuovere il Wild Law (il diritto
di Natura), sottolinea la necessità di ritrovare la wildness, che è la forza vitale e
selvaggia che scorre in tutti noi ed ha un valore sacro, in equilibrio con la legge.
Cormac sottolinea la necessità di modificare la governance esistente per riuscire a
risolvere le sfide ambientali del ventunesimo secolo, in modo che la Terra sia posta al
centro del progetto. Lovelock nel suo testo “La teoria di Gaia”, al pari di altri
importanti scienziati, sostiene come il sistema climatico della Terra abbia superato il
punto di non ritorno e come la Terra stia andando verso un nuovo equilibrio, che la
porterebbe a divenire inospitale per la vita umana. Cormac sostiene che il Wild law,
cioè il movimento di tutto ciò che è selvaggio, stia emergendo nella coscienza
collettiva a diversi livelli: nell’agricoltura (con la permacultura), nell’architettura,
nell’ingegneria, nell’educazione, nella medicina e nella psicologia. L’antico diritto
della Madre Terra (Pachamama) si sta diffondendo in diversi paesi, ad esempio in
Ecuador, nel settembre 2008, è stato votato un referendum affinché si adottasse una
Costituzione che riconosca alla Natura diritti di esistenza e di conservazione dei propri
cicli, funzioni, strutture.
Il cambiamento è possibile superando la filosofia dell’omosfera, che è
antropocentrica, figlia del pensiero cartesiano e meccanicistico. Thomas Khun
sostiene che il cambiamento dei paradigmi avviene durante una pausa di
discontinuità rivoluzionaria. È necessario un nuovo paradigma per l’amministrazione
sociale della Terra.
Vi sono quattro livelli fondamentali di cambiamento:
- cambiamento della cognizione personale del mondo;
- cambiamento del paradigma amministrativo delle società dominanti;
- sviluppo di una Giurisprudenza della Terra;
- adottare il Wild Law, aumentando il diritto di wilderness, che è la natura allo
stato selvaggio, che in molte società è associata alla saggezza.
Cormac ha voluto paragonare il cambiamento sociale all’immagine di uno stormo di
uccelli che volteggia in cielo: lo stormo non ha un unico leader, quando vira lo fa, però,
improvvisamente, come fosse un solo uccello e ciò avviene perché alcuni uccelli
emettono un segnale, che comunica la loro intenzione, altri cominciano a farlo, fino a
quando, raggiunta una massa critica, quelli che cambiano rotta sono così tanti che il
resto li segue.
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L’inganno fondamentale è dato dalla convinzione che il nostro benessere individuale
non dipenda dal benessere totale, dal credere che la Terra sia una risorsa infinita a
nostro uso e consumo e dal demandare alla tecnologia la soluzione per risolvere tutti
i problemi.
Oramai sterminare la vita sul pianeta non è fuorilegge, benedetto geocidio!
Addirittura si forniscono incentivi per sviluppare tecnologie che possano aumentare
lo sfruttamento della Terra, oltre il codice genetico degli esseri umani e altre forme di
vita, caso più eclatante la Monsanto.
Di contrapposto sul palcoscenico vi è una ricerca di armonia, il cui compimento genera
soddisfazione e piacere. La ricerca di fluidità senza contrapposizioni, oppure la
contrapposizione come occasione di maturità, un fluire di energia che diviene una
ricerca di cooperazione e un sentirsi a Casa!
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Capitolo cinque – l’incoerenza di stare dentro il sistema
Molte culture tribali hanno sviluppato modalità di compartecipazione con la Natura,
che prevedono il rispetto di leggi per loro immutabili. Garantiscono alla natura un
funzionamento autentico, adattando ad essa le proprie pratiche sociali, non
viceversa. Rispettano gli altri elementi dell’ambiente, prevengono lo spreco e
l’eccesso, praticano riti e pratiche restrittive per ristabilire qualsiasi disequilibrio, si
preoccupano che la loro mitologia, la visione del mondo e le loro leggi vengano
interiorizzate da ogni membro della comunità.
“La bellezza percorre lo spazio che ci separa…Come le foreste, anche noi viviamo sui
fianchi della Terra; spero che capiremo ancora la necessità e il grande scopo di
adattarci alla montagna, affinché un giorno, adattando le nostre civiltà alla sua forma
e radicandoci profondamente nel suo terreno, non si capisca più dove finisce una e
comincia l’altra. Quel giorno la Natura, la natura umana e la cultura verranno
nuovamente viste come una continuità indivisibile.” (Cormac Cullinan – I diritti della
natura).
Sarebbe necessario modificare il nostro modo di governarci per evitare il
deterioramento della Terra, abbandonare i miti delle culture dominanti, creare e
credere in una nuova filosofia di vita che contenga le leggi di natura.
Il deterioramento della Terra degrada le nostre anime e la percezione profonda di noi
stessi. Padre Thomas Berry, nato nel 1914 e morto nel 2009, è stato uno dei più
importanti pensatori legati al rapporto tra l’uomo e il mondo naturale. Si considerava
un geo-teologo, discepolo della terra, più che un teologo. Egli sottolineava che
qualsiasi cosa si faccia al proprio mondo esteriore lo si fa al proprio mondo interiore.
La soluzione è promuovere la comunità e il suo senso di appartenenza. Ho capito di
poter uscire dall’incoerenza di far parte del sistema quando ho sentito che, utilizzando
il playback theatre, potevo iniziare a promuovere pensiero nuovo.
Come può una forma teatrale occuparsi di ecologia?
Perché il playback theatre è uno strumento diverso da altri (film, diapositive, teatro
classico), più adatto a produrre cambiamento di paradigma? Il PT lavora in sinergia
con una Comunità Narrante, producendo riflessione sul sé, creando l’occasione di
esplicitare i valori condivisi dal collettivo, facendo emergere il sentire universale del
pubblico, come nel teatro greco, sviluppando i riti culturali e producendo il processo
della katharsis.
I Greci, infatti, consideravano il teatro non una mera occasione di divertimento e di
evasione dalla quotidianità, bensì un luogo dove la polis si riuniva per celebrare le
antiche storie del mito, patrimonio comune della cittadinanza. Lo spettatore greco si
recava a teatro per imparare precetti religiosi, per riflettere sul mistero dell’esistenza,
per rafforzare il senso della comunità civica. L’evento teatrale aveva dunque la
valenza di un’attività morale e religiosa, assimilabile ad un vero e proprio rito.
Il teatro greco era molto sentito e vissuto da parte dei cittadini di ogni classe sociale
e condizione economica: esso era, infatti, un rituale di grande rilevanza religiosa e
sociale, considerato uno strumento di educazione nell’interesse della comunità. La
rappresentazione teatrale non è, dunque, soltanto uno spettacolo: è un rito collettivo
della polis, che si svolge durante un periodo sacro in uno spazio sacro (il teatro
sorgeva a ridosso dell’altare del dio). Il teatro, proprio per questo suo carattere
collettivo, assunse la funzione di cassa di risonanza per le idee, i problemi e la vita
politica e culturale dell’Atene democratica: se è vero, infatti, che la tragedia parla di
un passato mitico, è anche vero che il mito diventa metafora dei problemi profondi
che Atene vive.
Aristotele formula il concetto di “catarsi” (kàtharsis, purificazione), secondo cui la
tragedia pone di fronte agli uomini gli impulsi passionali e irrazionali (matricidio,
incesto, cannibalismo, suicidio, infanticidio…), che albergano nell’animo umano,
permettendo agli individui di sfogarli innocuamente, in una sorta di esorcizzazione di
massa.
In campo ecologico, il PT, riprendendo gli elementi del teatro greco e dello
psicodramma moreniano, che sottolinea la centralità della verità soggettiva, può
davvero svolgere una funzione ecologica, nel senso di permettere, attraverso il suo
essere teatro interattivo, un’assunzione di responsabilità a livello comunitario per un
cambiamento valoriale, al fine di promuovere le idee di una Deep Ecology rispetto a
una Ecologia di superficie. Nel momento in cui il soggettivo e l’oggettivo non vengono
più posti sul tavolo della Verità, ma ci si concede di considerare oggettiva ogni realtà
soggettiva, allora la storia di ognuno di noi può portare significati universali e creare
cambiamento. La scientificità tanto ricercata rende sterile e priva di pathos
l’esperienza che ognuno di noi sperimenta con il proprio ecosistema interno e quello
esterno, di cui fa parte.
Ogni essere vivente è un ecosistema, ogni parte di sé riconosciuta e accettata è in
collegamento: se impariamo ad ascoltarci e a raccontare la nostra storia, allora
possiamo divenire portatori in prima persona di cambiamento nell’ambiente in cui
viviamo. Se mi pongo in ascolto profondo di me stesso e dei miei riferimenti valoriali,
posso vedere quale posto occupo nel Mondo (come individuo) e poi quale ruolo
svolgo nella mia famiglia di origine; quali responsabilità mi assumo a livello di
comunità locale; se sono portatore di un modello e se vi credo; quanto riesco a sentire
vibrare dentro me il richiamo delle radici, se mi percepisco come portavoce di
pensiero antico, riconosciuto e condiviso a livello transgenerazionale.
Riconoscendo i quattro livelli del PT nella propria storia, ognuno entra in un processo
ricostruttivo d’identità, che non è più singola, poiché definendo e comprendendo
quale posto si occupa, ognuno interiorizza il significato profondo di essere un
elemento singolo, piccolo, ma al tempo stesso fondamentale di un grande intreccio.
Il sociodramma e le tecniche ad esso collegate sono le più adatte a sviluppare temi
ecologici, proprio perché colgono la dimensione comunitaria del problema,
evidenziando i percorsi diversi che i singoli elementi del gruppo sociale possono
intraprendere rispetto al tema trattato.
Vi possono, ad esempio, essere percorsi sviluppati più da singoli individui nei quali la
comunità si riconosce o meno, oppure si creano dei percorsi con la comunità con
tecniche socio- drammatiche per riflettere su quali ruoli sono presenti nella comunità
stessa (la persona che non conosce i temi di eco sostenibilità, quella che pur
conoscendoli non è interessata a metterli in pratica, chi pur conoscendo il tema ha
una posizione critica rispetto alle teorie proposte, chi aderisce perché influenzato dal
gruppo, chi invece è consapevole delle teorie, le mette in pratica e le promuove).
Si tratta di “un profondo metodo d’azione per trattare le relazioni intergruppali ed
ideologie collettive, dove il vero soggetto è il gruppo […] Una metodologia che
combina discussione e scena drammatica per la soluzione di un problema di gruppo.
Occorrono tutti gli occhi e le orecchie della comunità, con il suo respiro e la sua
profondità, per poter operare adeguatamente” (J.L. Moreno).
È un metodo che risulta utile per sviluppare competenze sociali, risolvere problemi,
analizzare un’organizzazione, sviluppare piani d’azione e migliorare la personale
efficienza e consapevolezza (cit. Nadia Lotti).
Moreno affermava che “ogni ruolo è, perciò, una fusione di elementi privati e collettivi;
ogni ruolo ha due lati, uno privato e uno collettivo […]. I ruoli, che rappresentano idee
ed esperienze individuali, sono chiamati ruoli psicodrammatici, quelli che
rappresentano idee ed esperienze collettive sono chiamati ruoli socio- drammatici.”
Nel riconoscere i diversi ruoli che ognuno di noi occupa all’interno della comunità, si
può attivare il processo di cambiamento e il PT lavora proprio in questa direzione:
per arrivare al cuore della storie della comunità, per cogliere il filo rosso delle
narrazioni e attivarne la funzione di consapevolezza e cambiamento nel sentire
collettivo: in maniera esplicita affrontando i temi ecologici per consentire alle
persone e comunità di riflettere e con le tecniche socio-drammatiche di rileggere la
realtà ed esprimere i desideri più profondi ; in maniera implicita sul palcoscenico,
nel rituale, nel processo avviene proprio ciò che è fondamentale nel rapporto con la
natura: l’ascolto, la spontaneità, l’integrazione, l’emergere dell’archetipico e delle
sue più profonde emozioni. Le persone vivendo il PT contattano sempre di più i
desideri più profondi e si portano dietro la voglia di continuare anche nella
quotidianità.
Capitolo sei – Il rapporto che ognuno di noi può avere con la Natura è sicuramente
unico e irripetibile.
Ricordo la sensazione di totale fusione con il mio microcosmo, quando ero una piccola
bambina, tutta ossa e capelli lunghi e camminavo a piedi nudi, in mutande, nel cortile
di terra, dove abitavo con la mia famiglia, papà, mamma e due fratelli grandi,
tremendi! Con nostalgia cerco di recuperare quel sentimento di Sacralità che
caratterizzava il mio modo di approcciarmi agli insetti, agli animali e alle piante,
l’osservazione curiosa della rugiada al mattino e il tentativo di salvare i lombrichi dalle
inondazioni dei temporali… la gara di corsa delle lumache con il cugino Claudio e le
litigate con i bambini che esercitavano sadicamente i loro esperimenti su lucertole e
anfibi vari…
Eppure crescendo qualcosa è andato perduto…
Sono entrata nel sistema e ho dimenticato l’odore dell’erba appena tagliata, caricata
sul rimorchio del trattorino di papà, il rumore del vento tra le foglie nel campo dove
si raccoglievano i “ramasin” e le corse sulla slitta di legno, trainata dal pastore tedesco
di nome Furia.
Ho provato a colmare quel vuoto con le corse all’Università, i mille lavori tra una
comunità e l’altra, i mobili nuovi da comprare e l’auto che poteva accogliere meglio i
miei figli, col seggiolino a norma…
Sono poi fuggita dalla grande città per tornare nella mia città di provincia, con
l’illusione che bastasse prendere la bicicletta e andare lungo il Po, che qua è fiume di
casa, ancora piccolo e con acque che serbano ancora il colore tenue del ghiaccio dei
monti, cornice del suo fluire. Mi sono illusa che questo potesse bastare, ma non
bastava…
Avevo radici nascoste e denari sepolti dal tempo…avevo gettato su colline fertili semi
che il vento aveva cullato, ma avevo bisogno di tornare nel grembo materno, la Terra
Madre, un ricongiungimento che non fosse solo mio o della mia famiglia.
Un senso di responsabilità mi spingeva a credere che ci fosse altro, che tutti avessimo
bisogno di risentire un’unione con la nostra Madre Terra ad un livello più collettivo.
Non ci sono ancora riuscita, ma sento che questa è la via.
Conclusioni
L’esperienza sperimentata, in prima persona, di aver narrato, durante una
performance sul tema Essere comunità, ha lasciato aperte delle porte in me
attraverso le quali ha soffiato un vento.
“Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri altri mulini”
(proverbio cinese).
La narrazione ha generato un movimento interno a livello di emozioni, tanto che il
vortice indefinito ha preso forma in parole e frasi, per poi delinearsi a livello cerebrale
come un progetto e ritornare a vibrare dentro come possibilità realistica, non più
come sogno pindarico.
Credo che il PT abbia questa particolare abilità: produrre cambiamento. Parola che si
adatta a diverse interpretazioni, ma che è l’inizio di un nuovo mondo possibile ed è
da qui che voglio partire. Quando ho conosciuto il teatro di sviluppo di comunità mi
sono affacciata al bordo di una nuova valle, che non avevo nemmeno contemplato
sino ad allora.
Ammetto di essermi lasciata trascinare dalla “pancia”, dall’istinto, non capendo bene
cosa andassi a fare… mille idee e suggestioni, ma nessuna idea concreta.
Il primo anno è trascorso in un grande utero emotivo, dove ho lasciato che le
sensazioni fluissero, per poi comprendere, gradualmente, la necessità di
sistematizzare ciò che stavo assorbendo come una spugna.
Come per tutti gli amori passionali, non si sa aspettare con razionalità la
strutturazione di un rapporto stabile, ma si agisce di impeto e seguendo l’istinto. E’
nata così l’idea di iniziare ad addestrarmi con altre compagne, otto donne folli con cui
è iniziata una grande avventura: il far parte di una compagnia di playback theatre!
Adesso posso dire che il cambiamento maggiore prodotto in me dal playback theatre
è che non ho più solo la mia famiglia, ma neanche una famiglia allargata.
Ho una famiglia intrecciata!!!
Questo è il cuore della mia storia
Progetti realizzati
Per sviluppare uno stile di vita sostenibile
si deve imparare di nuovo a vivere nel proprio luogo.
Intrecciastorie promuove una rivoluzione dal basso,
lenta, resiliente
perché produce più cambiamento
un cavolfiore che un pugno chiuso…
Imperia 6 Aprile 2013
Il rapporto con la Natura viene raccontato attraverso esperienze concrete di
decrescita, portate avanti da membri del cohousing diffuso Meditamare.
Altri raccontano la loro esperienza quotidiana, declinata nel recupero degli
insegnamenti della nonna, il profumo del pane fatto in casa, ma anche il bisogno di
crescere e allontanarsi dalle radici per poi sentirne il richiamo e recuperare il lavoro
dei genitori, che durante l’adolescenza si svalutava.
Un pubblico piccolo, trenta persone, che insieme fa un percorso di condivisione non
solo delle buone pratiche, di non spreco e di recupero delle risorse, ma anche di
condivisione di un bisogno e desiderio collettivo, universale di stare insieme, di
ritrovare i legami e di ritrovare il proprio posto nella frenesia quotidiana.
Saluzzo 4 Maggio 2013
La mia feli..città: esistono città felici dove il vicinato è ancora o torna ad essere un
valore?
I giochi di cortile, la condivisione, l’aiuto reciproco, il coabitare e il collaborare, gli orti
urbani, come luoghi non solo di giardinaggio e coltivazione, ma come cura delle
relazioni, il rimettere le mani nella terra e riscoprire i gusti della verdura e delle
relazioni, il piacere del sole in faccia e le corse in bicicletta.
Un pubblico che all’interno di un cortile ascolta le voci dei vicini, che da una finestra
all’altra si salutano o chiedono il sale in prestito, la voce della mamma che dice “il
pranzo è pronto”, mentre i bambini giocano in cortile; raccogliamo storie legate al
recupero delle piccole cose buone che fanno bene all’anima, ma anche storie di
piccola indifferenza quotidiana, di dolore legate al non avere tempo.
Carmagnola, Borgo San Grato 26 Luglio 2013
Fare comunità… siamo capaci di seminare e attendere che i semi germoglino, quali
saranno i frutti?
Una performance in notturna in un parco, un pubblico ampio, oltre cento persone,
impegnate a seminare in una cinquantina di vasi, la scelta del seme, il piantare e
l’innaffiare.
Cosa significa per ognuno di noi fare una scelta che ha delle conseguenze
comunitarie? Quale è la mia comunità? Come ci vivo? Le incoerenze, come fare a
curare il mio seme e il seme degli altri? Possono le diverse piante essere sinergiche?
La mia proprietà di pianta può essere utile ad un’altra pianta?
Gli adulti si sono molto focalizzati sulla loro comunità familiare, che è indicativo di
come facciamo ancora fatica ad aprirci ad altri modi di essere comunità. Un bambino
ha, invece, parlato del suo fare comunità con il gruppo dell’estate ragazzi, del fa
avventure insieme, ma anche dei pasti comunitari, la grande emozione di condividere
esperienze, giochi e avventure con il suo gruppo, metafora della vita che ti porta a
dover affrontare ostacoli, ma condividendo tutto è più semplice e nutritivo.
Cervo 17 Maggio 2014
Intrecciando fili d’erba e storie – Festival ecologico Novamente. Recupero delle buone
pratiche ecologiche, del cibo a km zero, del fare musica con strumenti tribali,
intrecciare le storie della gente con fili di erba e rametti di salici per “Ritrovare la
dimensione collettiva del proprio stare nel Mondo”.
Nelle storiadi D.è emerso il bisogno che non si sia solo numeri 1 ma numeri 2, la
dualità come pratica evolutiva. La storia di T.ci ha portati negli anni della guerra Iraq-
Iran, dove la collettività distrutta visceralmente veniva recuperata dai racconti di
mamma e papà (al fronte, salvato dal proiettile grazie ai disegni di Cenerentola della
figlia tenuti sul cuore). La mamma portava la figlia sulla terrazza dicendole che le
bombe erano fuochi d’artificio, contenendo così la sua paura di perdere tutto.
A. disabile nel corpo, ma liberato nell’anima dalla sua collettività di amici, che egli
definisce fratelli, sue braccia e sue gambe, come radici e rami di uno stesso albero.
LA COMPAGNIA DI PLAYBACK-THEATRE
INTRECCIASTORIE
Presenta la Performance
DECRESCERE PER CRESCERE?
Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare
all’infinito, in un mondo finito, è un pazzo.
Oppure un economista.
(K. Boulding)
Imperia – Teatro dei Camilliani, via Cesare Battisti 6
SABATO 6 APRILE ORE 21
Gradita prenotazione Damiano
3313201354 damiano.fortunato@gmail.com–adriapinelli@tiscali.it
VIETATO CALPESTARE I SOGN39
In occasione del Festival di Primavera del 17 e 18 Maggio 2014
a Cervo
LA COMPAGNIA INTRECCIASTORIE
presenta
INTRECCIANDO FILI D’ERBA E STORIE …
Performance di playback theatre
Ritrovare la dimensione collettiva del proprio stare nel Mondo
Sabato 17 Maggio ore 19 Piazza Castello
Ingresso gratuito
40
Alla ricerca della Torino green con il mezzo più
ecologico: il tram!
Torino è una delle città più verdi non solo d’Italia, ma d’Europa. Alcuni tra i suoi
parchi sono tra i più estesi della penisola, mentre con i suoi sessantamila alberi
disseminati lungo i viali (esclusi i parchi e la zona collinare) Torino detiene il primato
di una delle città con la maggiore superficie verde. E d’altronde cosa c’è di più
torinese di un grande corso alberato, con i caratteristici “controviali”! Soprattutto gli
stranieri ammirano l’imponenza e la lunghezza dei nostri viali alberati. 320 chilometri
complessivi, che toccano sia il centro sia la periferia. Le piante, a Torino, sono
ovunque. Platani, all’incirca 17mila, poi tigli, ippocastani, olmi e aceri: un esercito
verde che vigila sulle strade di Torino. Piante che per la maggior parte sono state
piantate nel Novecento, ma si trovano ancora esemplari più longevi, che hanno
visto passeggiare Cavour e Vittorio Emanuele!
All’ European Green Capital del 2014, tra le 19 finaliste compare anche Torino.
Questo riconoscimento annuale, premia gli sforzi locali delle città, non
necessariamente capitali, che meglio hanno saputo differenziarsi per l’impegno a
favore dell’ambiente, per l’economia e la qualità della vita dei cittadini, divenendo
un modello per gli altri centri urbani. Senza dimenticare che Torino è una delle città
con maggior numero di orti urbani.
Il bisogno di contatto con la Natura e la necessità di attuare buone pratiche di eco
sostenibilità, ci accompagna in questo itinerario di ricerca, non solo di aree verdi,
dove godere della bellezza di Torino, ma di recupero di buone pratiche a impatto
zero sull’ambiente, che diviene non solo più scenario della vita dell’uomo ma vi è
legato intrinsecamente.
L’ATTS, Associazione Torinese Tram Storici insieme all’ Associazione Intrecciastorie
(Compagnia di Teatro di sviluppo di Comunità) accompagnerà i passeggeri in un
viaggio reale e metaforico sul tram storico 2847 del 1960, lungo alcuni punti verdi
del centro della città (Valentino, Giardini Reali, piazza Carlina).
Alla ricerca della “Torino green”, con esperienze sensoriali, tattili e visive a tappe
lungo il percorso; il pubblico verrà attivato dai conduttori della Compagnia Teatrale
e dagli attori e invitato a raccontare “le storie della propria vita in maniera green”
in una sempre più tecnologica città.
Artisticamente, le narrazioni saranno messe in scena, in maniera immediata e
improvvisata, su uno dei mezzi più ecocompatibili della città: il tram!
Obiettivo: riscoprire il bisogno di contatto con la Natura e la necessità di attuare
buone pratiche di eco sostenibilità, in un itinerario di ricerca non solo di luoghi green
in città, dove godere della bellezza di Torino, ma di recupero di buone pratiche a
impatto zero sull’ambiente, che diviene non solo più scenario della vita dell’uomo,
ma vi è legato intrinsecamente, il tutto su uno dei mezzi più ecocompatibili della
Torino green: un tram storico, il passato che diventa il futuro.
Pubblico: giovani adulti sensibili alle sempre più attuali tematiche ambientali,
intrinsecamente legate alle buone nuove pratiche di cittadinanza attiva e di nuove
opportunità di vita.
Versione breve:
Torino è una delle città più green d’Europa. ATTS, Associazione Torinese Tram Storici
insieme all’Associazione Intrecciastorie condurrà i passeggeri in un viaggio reale e
metaforico sul tram storico 2847 del 1960. I luoghi green del centro città, bellezza
naturale, ma anche spinta per buone pratiche a impatto zero sull’ambiente, che
da scenario della vita cittadina si scopre parte di essa. In viaggio nella “Torino
green”, con esperienze sensoriali sul tram; il pubblico guidato dalla Compagnia
Teatrale racconterà “le storie della propria vita in maniera green” in una sempre più
tecnologica città. Le narrazioni messe in scena su uno dei mezzi più ecocompatibili
della città: il tram!
Bibliografia
Alessandro Baricco- Novecento- ediz. Feltrinelli, 1994
L. Dotti, Storie di vita in scena. Il teatro di improvvisazione al servizio del singolo, del
gruppo, della comunità, ANANKE edizioni (info@ananke-edizioni.com – www.anankeedizioni.com), Torino, novembre 2006
Luigi Dotti – Disabilità e sessualità: un’esperienza sociodrammatica – L’efficacia del
sociodramma nel lavoro con grandi gruppi (articolo pubblicato sulla rivista
Psicodramma Classico – AIPsiM, via Montevideo, 11, Milano, 2004 –
www.psicodrammaclassico.it)
Nadia Lotti – Il sociodramma – pro manuscripto, 2008
Jacob Levi Moreno- Il teatro della spontaneità, di Renzo Editore, 2007
Guido dalla Casa- Ecologia profonda- ediz. Mimesis, 2011
Clarissa Pinkola Estès- La danza delle grandi madri- ediz. Pickwick, 2013
Simone Giusti- Vado a vivere in campagna- ediz. Effequ, 2013
Cormac Cullinan- I diritti della Natura. Wild Law- ediz. Zeitgeist, 2012
A. Naess- The World of Concrete Contents, Inquiry, 1985
A. Naess- Ecology, Community and Lifestyle
Joe R.Lansdale- L’ultima caccia- Ediz. Fanucci, 2006
Francesco d’Assisi- Il Cantico delle Creature
Padre Simpliciano Olgiati – Ecologia problema globale, Quaderni di Spiritualità
Francescana, n. XVII
Ringraziamenti
Un ringraziamento speciale a tutti gli insegnanti della Scuola di Torino e di Milano, che
hanno saputo ascoltare il mio desiderio, accogliendo la mia storia e permettendomi
di scriverne una nuova.
Un ringraziamento a tutte le persone incontrate come allievi o come formatori, che
nel loro diverso ruolo mi hanno permesso di arricchirmi di Vita.
Un ringraziamento al pubblico di ogni performance, perché ha dato magia alla mia
esistenza e quella magia me la porto dentro, consentendo di stupirmi ogni volta
nell’incontro con l’altro.
Un ringraziamento a tutti i formatori in particolare ad Aviva Rosental e a Veronica
Needa perché mi fa ben sperare, che la seconda età, mi possa rendere un po’ simile a
loro, nella bellezza che esprimono come Grandi Madri.
Un ringraziamento a me stessa per essermi fidata della pancia e non aver avuto paura
di osare, quando tutti intorno mi davano della folle, per l’avventura intrapresa.
Un ringraziamento a tutti i folli che ho incontrato e che incontrerò …quelli che sanno
emozionarsi e non hanno paura di volare…